Come quasi ogni domenica verso pranzo mi suona il citofono, sarà il solito predicatore che cerca di somministrarmi giornalini con gesù cristi vari, sto giro decido di non rispondere e continuo a fare quello che stavo facendo.
L'attendente è insistente allora esco, dò una sbirciata per vedere chi è e la prima cosa che noto è un giornale con una fantastica scritta "Lotta comunista".
Faccio accomodare la compagna e le domando meravigliato che ci fa in un paese di bacchettoni con sindaco pidiellino...inattesa quando gradita visita.
domenica, luglio 24, 2011
giovedì, luglio 07, 2011
DALL’INFERNO AL LIMBO (fonte Msf)
TESTIMONIANZE DA MINEO, ITALIA
Abdoul, 42, Niger,
In Libia lavoravo come autista. Il mio datore di lavoro è fuggito quando è
scoppiato il conflitto. Una mattina, stavo andando a lavoro e ho visto alcuni
uomini armati. Mi hanno minacciato. Ho dovuto lasciare la casa. Ho mandato mia
moglie e i miei due figli in Niger ma non sono riuscito a raggiungerli. Sono
rimasto lì, bloccato nel bel mezzo della guerra.
Sono salito sulla barca perché temevo di morire. Non ho dovuto pagare. Sapevo
che la morte ci avrebbe potuto cogliere in qualsiasi momento del viaggio. Non
sapevo di essere diretto in Italia.
In Niger, non c’è più niente per me. I miei genitori sono morti tempo fa, si rischia
di essere vittima degli scontri tra i contadini e allevatori e io non ho né terra né
bestiame. Ho lasciato il mio paese 10 anni fa e ormai non lo conosco più.
Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo.
Sembra di essere in carcere. Per due mesi ci hanno detto che avremmo dovuto
ricevere i documenti ma non è successo nulla. Il tempo passa e io non so
nemmeno se la mia famiglia riesce a sfamarsi e può sopravvivere senza di me.
Non posso smettere di pensare a loro e questo mi fa stare male. A volte sono
talmente preoccupato che non riesco a mangiare.
Vorrei restare in Italia, lavorare e prendermi cura della mia famiglia proprio come
facevo prima che la guerra scoppiasse.
Su Omar dal Niger
Omar è un fratello del Niger. Veniamo dallo stesso paese. L’ho incontrato nel
centro. Facciamo sempre gruppo con gli altri nigerini, cercando di sostenerci a
vicenda. Diversamente da altri, era spesso triste e si sentiva in carcere. Non
stava bene e passava la maggior parte del tempo a dormire.
Una mattina i miei amici mi hanno detto che aveva lasciato il centro senza
salutare. Ha lasciato i suoi effetti personali per affrontare l’ignoto. Non abbiamo
più saputo nulla di lui. Siamo preoccupati.
Akin, 34, Nigeria
Ho lasciato la Nigeria e mi sono spostato da un posto ad un altro. Da quel
momento la situazione è solo peggiorata. Ma sopravvivo, sono un sopravvissuto.
Ho visto molte cose. Sono stato in Niger. Ho incontrato molti nigeriani lungo la
strada verso la Libia e mi sono unito a loro.
In Libia, ho iniziato una nuova vita pensando di essermi lasciato i problemi alle
spalle. Non mi andava troppo male. Sopravvivevo, vivevo. Poi è iniziata la guerra.
Ho pensato fosse il momento di fuggire di nuovo. Laggiù eravamo considerati
delle armi. Sono stato portato in un luogo chiuso, insieme ad altre
persone. Volevano usarci come mercenari. Sono fuggito nella notte insieme
ad altre 3 persone. Ci avevano messo in un posto dove non pensavano saremmo
sopravvissuti ma siamo riusciti a scappare attraverso una via di piccola fuga!
La barca era la nostra unica possibilità di scampare alla morte. Quando siamo
stati tratti in salvo ci hanno detto “benvenuti in Italia”. In quel momento mi sono
sentito nuovamente vivo. Ci hanno chiesto cose come: “stai bene? Hai caldo?”.
Poi ci hanno trasferito a Mineo attraverso una grande nave.
A Mineo, tutti i giorni sono uguali. Non abbiamo accesso a nessuna informazione,
non c’è nulla che ci tenga occupati. Mi chiedo perché sono vivo oggi. Se dovessi
morire, nessuno piangerebbe la mia morte. E se sopravvivrò sarò l’unico a
rallegrarsene.
A Mineo stiamo bene. Dormiamo, ci alziamo e mangiamo tre volte al giorno.
Stiamo bene ma non sappiamo cosa accadrà dopo. Stiamo solo qui. Il mio futuro
comincerà di nuovo quando sarò in grado di pensare: “voglio fare questo o
quello”. Ma per il momento non so. Ho molte cose in mente e vorrei essere in
grado di raccontarle.
Missy, 27, Nigeria
In Libia le cose andavano bene. Lavoravo come donna delle pulizie e avevo uno
stipendio fino a quando non è scoppiata la guerra. Da quel momento la situazione
è diventata terribile. Abbiamo deciso di abbandonare il paese con la barca. Non si
poteva nemmeno camminare per strada perché uomini armati ti
sparavano. Rimanere là significava rischiare la vita. Siamo dovuti partire.
Appena salita in barca ho avuto paura. Tutto quello che potevo fare era pregare.
Nella barca c’erano donne incinte e madri con bambini. E’ stato terribile. Non
avevo mai vissuto una cosa simile prima. Per tre notti non abbiamo avuto nulla
da bere o da mangiare. Nulla. Non sapevamo di essere diretti a Lampedusa e
l’ultima notte siamo stati soccorsi dagli elicotteri. Nessuno è morto tranne chi, in
preda alla confusione, si è gettato in mare da solo. Avevano perso la speranza e
non c’è stato niente da fare.
La vita di tutti i giorni a Mineo...non è una bella vita. Non so neanche cosa dire...
Abbiamo supplicato il governo italiano di aiutarci. Vogliamo solo lasciare il campo
e lavorare per conto nostro. Il mio sogno è quello di essere lasciata libera dal
governo italiano di uscire di qui, lavorare e pagare le tasse. Voglio realizzare
qualcosa.
Jeannette, 42, Congo
Le bombe stavano distruggendo case e palazzi, per questo siamo fuggiti e
abbiamo trovato rifugio in una piantagione. Siamo stati lì per un po’ di tempo.
Non c’era nulla da mangiare. Abbiamo sofferto molto.
Il mio datore di lavoro ci ha portati alla barca. Eravamo sotto la minaccia di
coltelli e pistole. Alcune persone continuavano a ripetere: “perché siete qui?
Perché non volete andar via?”
Quando è iniziata la guerra, i bambini non potevano più uscire di casa dopo la
scuola. Eravamo prigionieri in casa tutto il tempo. E’ stato molto duro anche per
le donne.
Ciononostante, io e la mia famiglia siamo rimasti in Libia perché avevamo
conosciuto tempi peggiori in Nord Kivu, da dove proveniamo.
Il viaggio in mare è stato terrificante. La barca sembrava in balia delle onde.
Ognuno pregava il proprio Dio, l’odore del mare dava il voltastomaco...terribile.
Non sapevo di essere diretta in Italia. Inizialmente non volevo rischiare lasciando
la Libia con i miei bambini ma il mio datore di lavoro ci ha consigliato di andare e
ci ha condotto alla barca. Vivere in Libia non era più possibile.
Patrick, 46, Congo
Vivevamo nel Nord Kivu. Abbiamo lasciato il Congo a causa delle guerre. Mia
madre è stata uccisa e questo mi aveva ferito molto. Ho fatto tutto il possibile per
lasciare quel paese. Abbiamo viaggiato attraverso la Somalia verso la Libia.
Io e mia moglie lavoravamo in una lavanderia quando è scoppiata la guerra.
Avevamo un’esistenza tranquilla. Tuttavia un pomeriggio un civile mi ha
minacciato con un coltello. Gli ho dato il denaro che avevo, circa 20 dinari, e mi
ha lasciato andare. Questo incidente è la ragione per cui ho deciso di lasciare la
Libia con la mia famiglia.
Abbiamo raggiunto Mineo due mesi fa. Ho sette bambini che non possono
nemmeno girare liberamente. Non possono uscire dal campo e questo li mette a
disagio. Per tenere la mente occupata, leggo le sacre scritture. Spero che i miei
figli possano continuare le scuole in francese. Ma per noi genitori non c’è futuro.
David, 29, from Ivory Coast
Sulla barca, durante il viaggio dalla Libia, abbiamo vissuto momenti terribili. A
causa di un temporale, la barca ondeggiava ed eravamo tutti spaventati. Tutti
cercavamo di governare l’imbarcazione per non perdere la rotta, tentando di
leggere la bussola.
Purtroppo la seconda notte il tempo è molto peggiorato. Ognuno pregava il
proprio Dio. Temevamo di morire e pensavamo che la fine fosse ormai vicina.
Allora non pensavo che ce l’avremmo fatta. Le donne piangevano e molte persone
davano di stomaco...è stato orribile.
Il giorno seguente, arrivati nei pressi di Lampedusa, abbiamo visto un elicottero
che volava sopra di noi e abbiamo riacquistato la speranza. Un’ora dopo è arrivata
la squadra di soccorso: attraverso due grossi gommoni ci hanno trasferiti su una
nave. Così siamo arrivati a Lampedusa.
Sono a Mineo da 35 giorni ma ho letto nell’opuscolo che contiene in breve i nostri
diritti che non possono trattenerci in questo campo per più di 35 giorni. Non sono
ancora stato interrogato. Tutto ciò che faccio è mangiare e dormire. Spero di
poter lasciare il centro e ricominciare a lavorare, come facevo prima. Ma per il
momento, qui non c’è nulla da fare.
Aziz, 36, Niger
Ho perso mio figlio in Libia. Ho messo da parte del denaro per permettere a mia
moglie di tornare in Niger. Ha preso un aereo dalla Tunisia ma io sono rimasto a
Tripoli. Hanno iniziato a bombardare Tajura ed è diventato difficile sopravvivere,
perciò sono dovuto partire.
Idrissa, 23, Niger
C’è mancanza di comunicazione a Mineo. Abbiamo solo 3 minuti a settimana per
chiamare le nostre famiglie. La commissione interroga solo due persone al giorno.
Non sappiamo quando e come lasceremo questo posto. Siamo come prigionieri
qui perché non c’è trasporto. Stiamo soffrendo, abbiamo bisogno di aiuto.
Georges, 29, Nigeria
Sono arrivato a Mineo il 2 giugno. La situazione non è buona. Ogni giorno è
uguale al precedente. Non c’è informazione. Mi piacerebbe, per esempio, leggere
il giornale. Non c’è niente per tenerci occupati. Non posso uscire dal centro.
Possiamo solo stare seduti e non accade nulla. Lasciarci seduti in un posto non
significa aiutarci.
TESTIMONIANZE DA SHOUSHA, TUNISIA
Emmanuel, 40 anni, DRC
Al principio ci sentivamo i benvenuti, eravamo speranzosi. Ma quanto può durare?
Siamo stati qui per mesi. Le persone qui sono molto stressate. Hanno perso
membri della loro famiglia, i propri averi e i documenti. Stanno impazzendo e
vogliono andar via da questo campo il prima possibile.
Qui stiamo soffrendo. Le condizioni di vita sono difficili. Vorremmo vivere,
lavorare e andare avanti. Ma qui non c’è niente. Non possiamo andar via e
ricominciare a vivere. Facciamo la fila per chiedere il cibo: ecco cosa facciamo qui.
Abdul, 23 anni, Costa d’Avorio
Ho passato quasi 5 mesi in prigione. Sono stato picchiato tutti i giorni. Per tre
settimane non sono riuscito ad alzarmi in piedi. Soffro ancora per le ferite. Ho
dovuto seppellire sette persone, incluse tre ragazze incinta. Se non lo fai, vieni
gettato vivo nella fossa insieme ai corpi.
Elias, 23 anni, Etiopia
(uno dei nove sopravvissuti di una piccolo peschereccio che ha tentato di
attraversare il Mediterraneo ad aprile con 72 passeggeri a bordo)
Quando la NATO ha iniziato a bombardare Tripoli non ho avuto altra scelta che
fuggire di nuovo. Sono stato a Shousha per un mese, dove posso andare? Non
posso tornare nel mio paese e non posso vivere in questo deserto. Questa è la
nostra vita: siamo giovani e arenati qui senza far nulla. Proverò di nuovo ad
attraversare il Mediterraneo.
Abdoul, 42, Niger,
In Libia lavoravo come autista. Il mio datore di lavoro è fuggito quando è
scoppiato il conflitto. Una mattina, stavo andando a lavoro e ho visto alcuni
uomini armati. Mi hanno minacciato. Ho dovuto lasciare la casa. Ho mandato mia
moglie e i miei due figli in Niger ma non sono riuscito a raggiungerli. Sono
rimasto lì, bloccato nel bel mezzo della guerra.
Sono salito sulla barca perché temevo di morire. Non ho dovuto pagare. Sapevo
che la morte ci avrebbe potuto cogliere in qualsiasi momento del viaggio. Non
sapevo di essere diretto in Italia.
In Niger, non c’è più niente per me. I miei genitori sono morti tempo fa, si rischia
di essere vittima degli scontri tra i contadini e allevatori e io non ho né terra né
bestiame. Ho lasciato il mio paese 10 anni fa e ormai non lo conosco più.
Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo.
Sembra di essere in carcere. Per due mesi ci hanno detto che avremmo dovuto
ricevere i documenti ma non è successo nulla. Il tempo passa e io non so
nemmeno se la mia famiglia riesce a sfamarsi e può sopravvivere senza di me.
Non posso smettere di pensare a loro e questo mi fa stare male. A volte sono
talmente preoccupato che non riesco a mangiare.
Vorrei restare in Italia, lavorare e prendermi cura della mia famiglia proprio come
facevo prima che la guerra scoppiasse.
Su Omar dal Niger
Omar è un fratello del Niger. Veniamo dallo stesso paese. L’ho incontrato nel
centro. Facciamo sempre gruppo con gli altri nigerini, cercando di sostenerci a
vicenda. Diversamente da altri, era spesso triste e si sentiva in carcere. Non
stava bene e passava la maggior parte del tempo a dormire.
Una mattina i miei amici mi hanno detto che aveva lasciato il centro senza
salutare. Ha lasciato i suoi effetti personali per affrontare l’ignoto. Non abbiamo
più saputo nulla di lui. Siamo preoccupati.
Akin, 34, Nigeria
Ho lasciato la Nigeria e mi sono spostato da un posto ad un altro. Da quel
momento la situazione è solo peggiorata. Ma sopravvivo, sono un sopravvissuto.
Ho visto molte cose. Sono stato in Niger. Ho incontrato molti nigeriani lungo la
strada verso la Libia e mi sono unito a loro.
In Libia, ho iniziato una nuova vita pensando di essermi lasciato i problemi alle
spalle. Non mi andava troppo male. Sopravvivevo, vivevo. Poi è iniziata la guerra.
Ho pensato fosse il momento di fuggire di nuovo. Laggiù eravamo considerati
delle armi. Sono stato portato in un luogo chiuso, insieme ad altre
persone. Volevano usarci come mercenari. Sono fuggito nella notte insieme
ad altre 3 persone. Ci avevano messo in un posto dove non pensavano saremmo
sopravvissuti ma siamo riusciti a scappare attraverso una via di piccola fuga!
La barca era la nostra unica possibilità di scampare alla morte. Quando siamo
stati tratti in salvo ci hanno detto “benvenuti in Italia”. In quel momento mi sono
sentito nuovamente vivo. Ci hanno chiesto cose come: “stai bene? Hai caldo?”.
Poi ci hanno trasferito a Mineo attraverso una grande nave.
A Mineo, tutti i giorni sono uguali. Non abbiamo accesso a nessuna informazione,
non c’è nulla che ci tenga occupati. Mi chiedo perché sono vivo oggi. Se dovessi
morire, nessuno piangerebbe la mia morte. E se sopravvivrò sarò l’unico a
rallegrarsene.
A Mineo stiamo bene. Dormiamo, ci alziamo e mangiamo tre volte al giorno.
Stiamo bene ma non sappiamo cosa accadrà dopo. Stiamo solo qui. Il mio futuro
comincerà di nuovo quando sarò in grado di pensare: “voglio fare questo o
quello”. Ma per il momento non so. Ho molte cose in mente e vorrei essere in
grado di raccontarle.
Missy, 27, Nigeria
In Libia le cose andavano bene. Lavoravo come donna delle pulizie e avevo uno
stipendio fino a quando non è scoppiata la guerra. Da quel momento la situazione
è diventata terribile. Abbiamo deciso di abbandonare il paese con la barca. Non si
poteva nemmeno camminare per strada perché uomini armati ti
sparavano. Rimanere là significava rischiare la vita. Siamo dovuti partire.
Appena salita in barca ho avuto paura. Tutto quello che potevo fare era pregare.
Nella barca c’erano donne incinte e madri con bambini. E’ stato terribile. Non
avevo mai vissuto una cosa simile prima. Per tre notti non abbiamo avuto nulla
da bere o da mangiare. Nulla. Non sapevamo di essere diretti a Lampedusa e
l’ultima notte siamo stati soccorsi dagli elicotteri. Nessuno è morto tranne chi, in
preda alla confusione, si è gettato in mare da solo. Avevano perso la speranza e
non c’è stato niente da fare.
La vita di tutti i giorni a Mineo...non è una bella vita. Non so neanche cosa dire...
Abbiamo supplicato il governo italiano di aiutarci. Vogliamo solo lasciare il campo
e lavorare per conto nostro. Il mio sogno è quello di essere lasciata libera dal
governo italiano di uscire di qui, lavorare e pagare le tasse. Voglio realizzare
qualcosa.
Jeannette, 42, Congo
Le bombe stavano distruggendo case e palazzi, per questo siamo fuggiti e
abbiamo trovato rifugio in una piantagione. Siamo stati lì per un po’ di tempo.
Non c’era nulla da mangiare. Abbiamo sofferto molto.
Il mio datore di lavoro ci ha portati alla barca. Eravamo sotto la minaccia di
coltelli e pistole. Alcune persone continuavano a ripetere: “perché siete qui?
Perché non volete andar via?”
Quando è iniziata la guerra, i bambini non potevano più uscire di casa dopo la
scuola. Eravamo prigionieri in casa tutto il tempo. E’ stato molto duro anche per
le donne.
Ciononostante, io e la mia famiglia siamo rimasti in Libia perché avevamo
conosciuto tempi peggiori in Nord Kivu, da dove proveniamo.
Il viaggio in mare è stato terrificante. La barca sembrava in balia delle onde.
Ognuno pregava il proprio Dio, l’odore del mare dava il voltastomaco...terribile.
Non sapevo di essere diretta in Italia. Inizialmente non volevo rischiare lasciando
la Libia con i miei bambini ma il mio datore di lavoro ci ha consigliato di andare e
ci ha condotto alla barca. Vivere in Libia non era più possibile.
Patrick, 46, Congo
Vivevamo nel Nord Kivu. Abbiamo lasciato il Congo a causa delle guerre. Mia
madre è stata uccisa e questo mi aveva ferito molto. Ho fatto tutto il possibile per
lasciare quel paese. Abbiamo viaggiato attraverso la Somalia verso la Libia.
Io e mia moglie lavoravamo in una lavanderia quando è scoppiata la guerra.
Avevamo un’esistenza tranquilla. Tuttavia un pomeriggio un civile mi ha
minacciato con un coltello. Gli ho dato il denaro che avevo, circa 20 dinari, e mi
ha lasciato andare. Questo incidente è la ragione per cui ho deciso di lasciare la
Libia con la mia famiglia.
Abbiamo raggiunto Mineo due mesi fa. Ho sette bambini che non possono
nemmeno girare liberamente. Non possono uscire dal campo e questo li mette a
disagio. Per tenere la mente occupata, leggo le sacre scritture. Spero che i miei
figli possano continuare le scuole in francese. Ma per noi genitori non c’è futuro.
David, 29, from Ivory Coast
Sulla barca, durante il viaggio dalla Libia, abbiamo vissuto momenti terribili. A
causa di un temporale, la barca ondeggiava ed eravamo tutti spaventati. Tutti
cercavamo di governare l’imbarcazione per non perdere la rotta, tentando di
leggere la bussola.
Purtroppo la seconda notte il tempo è molto peggiorato. Ognuno pregava il
proprio Dio. Temevamo di morire e pensavamo che la fine fosse ormai vicina.
Allora non pensavo che ce l’avremmo fatta. Le donne piangevano e molte persone
davano di stomaco...è stato orribile.
Il giorno seguente, arrivati nei pressi di Lampedusa, abbiamo visto un elicottero
che volava sopra di noi e abbiamo riacquistato la speranza. Un’ora dopo è arrivata
la squadra di soccorso: attraverso due grossi gommoni ci hanno trasferiti su una
nave. Così siamo arrivati a Lampedusa.
Sono a Mineo da 35 giorni ma ho letto nell’opuscolo che contiene in breve i nostri
diritti che non possono trattenerci in questo campo per più di 35 giorni. Non sono
ancora stato interrogato. Tutto ciò che faccio è mangiare e dormire. Spero di
poter lasciare il centro e ricominciare a lavorare, come facevo prima. Ma per il
momento, qui non c’è nulla da fare.
Aziz, 36, Niger
Ho perso mio figlio in Libia. Ho messo da parte del denaro per permettere a mia
moglie di tornare in Niger. Ha preso un aereo dalla Tunisia ma io sono rimasto a
Tripoli. Hanno iniziato a bombardare Tajura ed è diventato difficile sopravvivere,
perciò sono dovuto partire.
Idrissa, 23, Niger
C’è mancanza di comunicazione a Mineo. Abbiamo solo 3 minuti a settimana per
chiamare le nostre famiglie. La commissione interroga solo due persone al giorno.
Non sappiamo quando e come lasceremo questo posto. Siamo come prigionieri
qui perché non c’è trasporto. Stiamo soffrendo, abbiamo bisogno di aiuto.
Georges, 29, Nigeria
Sono arrivato a Mineo il 2 giugno. La situazione non è buona. Ogni giorno è
uguale al precedente. Non c’è informazione. Mi piacerebbe, per esempio, leggere
il giornale. Non c’è niente per tenerci occupati. Non posso uscire dal centro.
Possiamo solo stare seduti e non accade nulla. Lasciarci seduti in un posto non
significa aiutarci.
TESTIMONIANZE DA SHOUSHA, TUNISIA
Emmanuel, 40 anni, DRC
Al principio ci sentivamo i benvenuti, eravamo speranzosi. Ma quanto può durare?
Siamo stati qui per mesi. Le persone qui sono molto stressate. Hanno perso
membri della loro famiglia, i propri averi e i documenti. Stanno impazzendo e
vogliono andar via da questo campo il prima possibile.
Qui stiamo soffrendo. Le condizioni di vita sono difficili. Vorremmo vivere,
lavorare e andare avanti. Ma qui non c’è niente. Non possiamo andar via e
ricominciare a vivere. Facciamo la fila per chiedere il cibo: ecco cosa facciamo qui.
Abdul, 23 anni, Costa d’Avorio
Ho passato quasi 5 mesi in prigione. Sono stato picchiato tutti i giorni. Per tre
settimane non sono riuscito ad alzarmi in piedi. Soffro ancora per le ferite. Ho
dovuto seppellire sette persone, incluse tre ragazze incinta. Se non lo fai, vieni
gettato vivo nella fossa insieme ai corpi.
Elias, 23 anni, Etiopia
(uno dei nove sopravvissuti di una piccolo peschereccio che ha tentato di
attraversare il Mediterraneo ad aprile con 72 passeggeri a bordo)
Quando la NATO ha iniziato a bombardare Tripoli non ho avuto altra scelta che
fuggire di nuovo. Sono stato a Shousha per un mese, dove posso andare? Non
posso tornare nel mio paese e non posso vivere in questo deserto. Questa è la
nostra vita: siamo giovani e arenati qui senza far nulla. Proverò di nuovo ad
attraversare il Mediterraneo.
Iscriviti a:
Post (Atom)